Alfredo Cospito sta sempre peggio. Lo sciopero della fame che porta avanti da più di tre mesi lo sta debilitando oltre misura. E se è più che mai urgente un intervento dell’autorità giudiziaria al fine di revocare il 41bis ai suoi danni, altrettanto urgente è la riflessione pubblica a proposito del carcere duro e del carcere in generale. Perché sì, a prescindere dalle affinità o dalle divergenze teoriche e ideologiche, anche l’istituzione della detenzione deve essere passata sotto la lente d’ingrandimento.
Essa, più che una soluzione al problema del crimine, ne è una delle cause, un sintomo plateale del fallimento di un ordine sociale che deve escogitare stratagemmi violenti – la detenzione, appunto – per difendersi dalla minaccia di sovversione dell’ordine costituito.
Il crimine è un prodotto sociale indotto dalle disuguaglianze, in molti casi l’extrema ratio di chi non riesce a trovare altri modi per mettere un pezzo di pane sotto i denti propri o, magari, di qualche membro della famiglia. Emblematico è il fatto, ad esempio, che in Italia la popolazione carceraria ha sempre avuto, mediamente, un basso livello d’istruzione, dato che ci suggerisce che, laddove mancano o scarseggiano le possibilità materiali di far propri strumenti intellettuali utili per un futuro lavorativo dignitoso – ad esempio in contesti in cui non ci si può permettere il lusso di studiare perché in casa mancano i soldi necessari anche solo per tirare a campare -, ecco che l’alternativa più concreta diventa il delinquere.
Non sono tutti Matteo Messina Denaro quelli che riempiono le sovraffollate celle delle prigioni italiane, e questo Cospito lo sa bene. Anzi, la stragrande maggioranza sono disgraziati e disgraziate vittime di un assetto sociale che prevede ricchezza nauseante per pochissimi e povertà estrema per molti.
Cospito, con la sua lotta, sta diventando il simbolo di una guerra contro uno Stato borghese che, più che difendere i propri cittadini, difende se stesso e la propria sopravvivenza in un ordine sociale in cui le contraddizioni si fanno giorno dopo giorno più stridenti e la rabbia fermenta tra lavoratori ed esclusi.
Ricordiamo che le azioni che hanno portato all’arresto di Cospito e alla detenzione in regime di 41bis non hanno mietuto alcuna vittima e ciò fomenta ancor più una rabbia e una frustrazione derivanti dalla netta percezione di un trattamento per nulla equo, un trattamento e un accanimento che per atti assai peggiori – vedi Piazza Fontana, la stazione di Bologna, ecc… – sono stati di gran lunga più contenuti.
Sicuramente il pungo duro delle autorità sulla questione rappresenta un grande spot per il nuovo governo, una compagine che punta molto su dimostrazioni di forza per convincere l’elettorato che il pugno duro è l’unica e più adatta arma per governare. Non importa che esso venga usato esclusivamente ai danni dei più poveri, porgendo invece ai ricchi sempre maggiori aiuti e disponibilità. L’importante è mostrare di averlo duro – il pugno -.
Il carcere rimane la pattumiera della società liberista, il luogo in cui vengono gettati tutti coloro che la società non è stata in grado di integrare. Pensare a un suo superamento è riflettere, contemporaneamente, sul superamento di un ordine sociale omicida, ecocida e profondamente iniquo come quello attuale. Alfredo Cospito sta lottando anche per questo.